Shirin Ebadi, l’avvocata e attivista di Teheran insignita del premio Nobel per la pace, ha espresso profonda preoccupazione per il caso di Cecilia Sala, la giornalista italiana arrestata dalla Repubblica islamica. La Ebadi, contattata nella sua residenza a Londra, è intervenuta senza preavviso per sottolineare la gravità della situazione: «Sala è una giornalista innocente, presa in ostaggio per essere scambiata con persone legate al regime».
Secondo l’attivista, questo non rappresenta tanto una questione di libertà di stampa — assente in Iran — quanto piuttosto una manifestazione della strategia degli ostaggi tipica della dittatura, utilizzata come mezzo di ricatto. Sala è stata arrestata per presunte «violazioni della legge della Repubblica islamica». Tuttavia, Ebadi considera tali accuse come un pretesto per guadagnare tempo, in attesa della reazione di Italia e Stati Uniti. È probabile che abbiano già informato l’ambasciata e l’avvocato della giornalista di accuse più specifiche.
Potrebbero accusarla di non aver osservato il codice di vestiario o di collaborazione con paesi ostili, una pratica comune per intimidire chi potrebbe opporsi al regime. Nonostante siano trascorsi 12 giorni dall’arresto, le accuse restano vaghe, una chiara violazione della legge iraniana, che prevede la comunicazione del reato entro 24 ore e il diritto immediato a un avvocato, sebbene spesso scelto da una lista controllata dal regime.
Basandosi sulla sua esperienza, Ebadi prevede che Sala potrebbe rimanere in isolamento ancora per qualche tempo, prima di essere trasferita nella sezione femminile del carcere di Evin. Le autorità, sostenendo di condurre indagini, allungherebbero i tempi della detenzione. Il futuro della giornalista dipende dall’approccio che il governo italiano adotterà: è fondamentale non cadere nei giochi della Repubblica islamica, enfatizza Ebadi.
L’arresto di Sala potrebbe essere legato a quello di Mohammad Abedini Najafabadi a Milano, suggerendo che i governi occidentali siano obbligati a trattare con i ricatti del regime. Gli ayatollah usano sistematicamente la politica degli ostaggi perché funziona. Ebadi sollecita la comunità internazionale ad aumentare la pressione sul regime iraniano: l’Italia, ad esempio, dovrebbe fissare una scadenza per la liberazione di Sala, minacciando un abbassamento delle relazioni diplomatiche.
Ebadi stessa è stata detenuta a Evin e descrive le condizioni a cui Sala potrebbe essere sottoposta: isolamento totale, luce artificiale costante e stress causato dalla sorveglianza continua attraverso uno spioncino. Questo ambiente è progettato per indurre i prigionieri a fare false confessioni usate nei processi-farsa.
Le autorità iraniane hanno promesso di trattare Sala con rispetto, ed Ebadi ritiene che la sua vita e salute non siano in pericolo. Tuttavia, sottolinea la violenza del gesto in un momento critico per l’Iran, apparentemente impegnato a mostrare un’apertura con l’elezione del presidente Pezeshkian, definito «riformista». Ebadi ricorda che in Iran il presidente ha un’importanza insignificante: il vero potere risiede nelle mani della Guida suprema, rendendo il regime irriformabile.
Infine, consapevole dei rischi, Ebadi incoraggia i giornalisti a continuare a scrivere sull’Iran per esporre al mondo le sofferenze dei suoi cittadini, avvertendo i governi di non collaborare con gli ayatollah. Alla stessa Sala, manda un messaggio di incoraggiamento: «Non avere paura. Sii forte e coraggiosa, tornerai libera». Al pubblico internazionale, invece, chiede di continuare a fare rumore fino alla sua liberazione.