La nota mattutina del sito Politico.com si apre con un’immagine dalla capitale americana: i festeggiamenti per l’uscita di Elon Musk dall’amministrazione del presidente Donald Trump sembrano già cominciati con lo scoppio dei tappi di champagne. Musk, noto imprenditore, aveva da tempo pianificato il suo ritiro. Rimanere al governo per oltre 130 giorni lo avrebbe trasformato in un dipendente a tempo pieno, sottomettendo così a tutte le normative relative alla trasparenza e al conflitto di interessi, obblighi che non intendeva assumere. Si tratta quindi, in superficie, di una separazione consensuale, senza apparenti fratture. Musk, inoltre, si mostra fiducioso: il suo ministero dell’Efficienza, il Doge, porterà progressi nella riduzione della burocrazia e degli sprechi. Tuttavia, la sua politica aggressiva contro settori amministrativi interi ha fatto sì che si inimicasse non solo il personale, ma anche una parte consistente del governo e del Congresso, inclusi diversi repubblicani. Anche Trump, il cui indice di popolarità è calato, ha cominciato a prendere le distanze, abbandonando i consueti elogi.

Il progetto di Musk volto a ridurre la spesa pubblica, inizialmente di 2.000 miliardi di dollari, poi ridotto a 1.000 miliardi, era già fallito da tempo. La riduzione effettiva si aggira ora intorno ai 150 miliardi, ma questa somma è instabile: include infatti spese già tagliate e settori governativi cancellati per errore che devono essere ripristinati.

Cosa resterà di questa sperimentazione? Forse solo il ricordo di un’occasione disordinata, persa da un imprenditore brillante ma politicamente inesperto e privo di empatia, che ha approcciato la scena di Washington con un approccio drastico, per poi lasciare quasi in silenzio tramite un tweet. Il “quasi” è d’obbligo: mentre ringrazia il presidente su X per l’opportunità di lanciare iniziative di bilancio, Musk critica la legge di bilancio di Trump, sostenendo che accresce deficit e debiti federali, minando il lavoro fatto col Doge. Nessuna porta sbattuta, ma una chiusura poco riservata.

Nonostante Trump non abbia rotto con Musk, che tanto si è speso per la sua rielezione, e Musk non attacchi direttamente il presidente, è evidente il suo disappunto. Pur essendo un fervente sostenitore di Trump ed avendo investito quasi 300 milioni di dollari per la sua elezione, l’imprenditore ha espresso l’intento di non investire ulteriormente nel panorama politico, a meno di chiari vantaggi. La questione ora verte su come sarà riorganizzata la coalizione di Trump, un tempo sostenuta da un mix bilanciato di ultraconservatori e forze tecnologiche. Con il ritiro di Musk, i tradizionalisti rimarranno soli in campo? O i pionieri digitali come Musk, Thiel e Andreessen attendono nuove opportunità, avendo ben posizionato i loro uomini nei ruoli chiave dell’amministrazione?

La tecnologia, sempre più dominante e vicina a trasformare il mondo del lavoro con l’Intelligenza Artificiale, non ha abbandonato la sua ambizione di modificare le regole democratiche. L’idea di utilizzare Trump come veicolo si è rivelata poco realistica. I leader del settore tecnologico stanno ora guardando al futuro, con JD Vance – figura creatasi principalmente sotto l’egida di Thiel ma con legami anche agli ultrà della Heritage Foundation – pronto a giocare una nuova partita una volta che Trump gli lascerà spazio.

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