Alaa al-Najjar, pediatra di Gaza, affronta un periodo di estrema difficoltà dopo aver perso quasi tutta la sua famiglia in un bombardamento israeliano il 23 maggio. La sua casa a Khan Younis è stata distrutta, lasciando solo lei e il figlio undicenne Adam, unico sopravvissuto tra i suoi dieci figli. Recentemente, anche il marito Hamdi, con il quale condivideva una profonda intesa e professione, è deceduto. Nonostante il dolore profondo, Alaa trova la forza di andare avanti per il bene di Adam, che ora ha solo lei come familiare più stretto.
Adam è fuori dalla terapia intensiva ma il suo recupero è lento e necessita di cure specialistiche che non sono disponibili nella Striscia di Gaza. La speranza di viaggio in Italia per ricevere le giuste cure è l’unica cosa che sembra far sorridere Adam. Tuttavia, il processo di uscita da Gaza è incerto e Alaa attende con ansia un possibile trasferimento previsto per l’11 giugno.
Alaa esprime la sua resilienza attraverso una fede profonda in un disegno superiore, rifiutando di essere dipinta come un’eroina ma piuttosto come una madre che condivide una tragedia comune con molte altre a Gaza. Ella non nutre rabbia, ma prova un profondo dolore e ringrazia chiunque denunci le devastazioni inflitte alla sua terra, sentendosi confortata dal pensiero che i suoi amati figli abbiano trovato la pace in un luogo migliore.
Il giorno del bombardamento è un ricordo angosciante per Alaa, che ha visto la sua famiglia trasformarsi in polvere e macerie. Anche di fronte a questo orrore indescrivibile, prevale l’amore e il desiderio di vita vissuto con il marito Hamdi, descrivendolo come parte indivisibile della sua esistenza.
Alaa spera di riuscire a partire per l’Italia con Adam e alcuni familiari stretti, cercando un futuro migliore e cure adeguate per il figlio, mentre affronta una situazione di precarietà e perdita inscritta nel cuore della vita a Gaza.