La serie “The Handmaid’s Tale”, basata sull’opera di Margaret Atwood e prodotta da MGM Television, è giunta alla sua sesta stagione. Ambientata in un futuro distopico, essa presenta un’America trasformata in una teocrazia totalitaria, chiamata Repubblica di Gilead, raffigurata con una bandiera nazionale ridotta a due sole stelle. Questo nuovo regime è fortemente ancorato ai dettami della Bibbia, descrivendo un’epoca segnata dalla violenza e dall’oppressione, specialmente verso le donne e le minoranze. La serie, disponibile sulla piattaforma TimVision, accentua in quest’ultimo capitolo il valore della speranza, del coraggio, della solidarietà e della resilienza nella lotta per la giustizia e la libertà.
La trama sfida gli spettatori a riflettere in profondità non tanto sulle interpretazioni degli attori, ma piuttosto sulle sensazioni che queste scene distopiche evocano. A partire dal terzo episodio, l’intreccio riprende vigore, portando in primo piano l’azione e suscitando una discussione sull’attualità di temi che appaiono quasi un monito per i tempi moderni. La questione che emerge è se “The Handmaid’s Tale” avrebbe ottenuto lo stesso livello di considerazione in un contesto politico diverso, senza la presenza di figure divisive come Donald Trump o senza l’ombra crescente di tendenze sovraniste o neofasciste in Europa.
Nella narrazione, il Canada diventa un porto sicuro per coloro che riescono a fuggire da Gilead, mentre quest’ultimo cerca di stabilire o ristabilire relazioni diplomatiche e commerciali con altri Stati, ostacolato però dal contesto economico caratterizzato da pesanti dazi commerciali. In questo contesto immaginario, la rivoluzione teocratica ha sovvertito ogni ordine politico, giuridico e sociale conosciuto negli Stati Uniti, rimodellando la società in qualcosa di inquietantemente familiare e insieme profondamente alieno.
L’impatto di questa rappresentazione distopica è amplificato dall’attuale scenario politico globale, che sembra avvicinarsi pericolosamente agli scenari descritti, rendendo la serie non solo un racconto di finzione speculativa ma anche un commento incisivo sulla fragilità delle nostre democrazie e sull’importanza di vigilare costantemente sui diritti acquisiti.