Nel panorama culturale e radiotelevisivo italiano del secolo scorso, Leone Piccioni occupa un posto di rilievo. A cento anni dalla sua nascita, Rai Storia gli ha reso omaggio attraverso il documentario realizzato da Enrico Salvatori e Serena Valeri, intitolato “Leone Piccioni. Cultura come approdo”, disponibile su Rai Play. Figura centrale, insieme a illustri compagni di viaggio come Adriano Seroni e Giovanni Battista Angioletti, Piccioni fu il fondatore della rinomata rivista “L’Approdo”, divenendone poi curatore anche nelle sue trasformazioni radiofonica e televisiva per oltre tre decenni.
Allievo di Giuseppe Ungaretti e studioso dell’opera di Giacomo Leopardi, Piccioni credeva fermamente che l’arte, la letteratura e la cultura avessero la potenzialità di trascendere il contesto cronachistico del loro tempo, stabilendo al contempo solide connessioni con il passato e anticipando il futuro. La sua doppia sfaccettatura, quella del letterato e dell’uomo di televisione, è stata esplorata nel documentario attraverso le voci di esperti come Fabiana Cacciapuoti, presidente del Centro Studi Leopardiani, Silvia Zoppi Garampi, docente di letteratura all’Università Suor Orsola Benincasa, Micol Forti, direttrice della Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani, assieme alla testimonianza della figlia Gloria.
Come dirigente Rai, Piccioni non solo diresse il Telegiornale, ma introdusse importanti innovazioni come le Tribune politiche e promosse il rinnovamento dell’intrattenimento televisivo, collaborando con Antonello Falqui per la realizzazione del progetto “Biblioteca di Studio1”. Negli anni Sessanta, riaffermò il ruolo della radio lanciando programmi innovativi come “Bandiera Gialla”, “Gran Varietà” e “Chiamate Roma 3131”. Renzo Arbore ha offerto un affettuoso ricordo di Piccioni, descrivendolo come il mentore che guidò la radio verso una fase più libera e adatta ai nuovi tempi, liberandola dal formalismo della sua epoca istituzionale e teatrale.