A settembre, il pubblico avrà l’opportunità di vedere al cinema un nuovo film che promette di coniugare profondità e ironia. Il regista tedesco Matthias Glasner offre un’opera che esplora con grande sincerità il tema della morte. Il titolo originale “Sterben” suggerisce immediatamente un approccio diretto, traducendosi infatti con il verbo “morire”. Il film esplora la malattia, la vecchiaia e la difficoltà di trovare un proprio posto nel mondo.

Glasner ha creato un affresco spietato della durata di quasi tre ore, dove la fine e i suoi segreti vengono sviscerati con uno sguardo intriso di vita, passione, musica e un pizzico di ironia. Alla Berlinale del 2024, il film ha ricevuto l’Orso d’argento, anche grazie all’eccezionale performance dei quattro protagonisti. Il titolo italiano, “Lo spartito della vita”, sarà nelle sale l’11 settembre.

Si tratta di una sinfonia in quattro movimenti che racconta la storia di una famiglia ormai frammentata: due anziani genitori che combattono con un inevitabile declino e due figli distanti, Tom, un direttore d’orchestra, ed Ellen, assistente in uno studio dentistico. Entrambi conducono vite complesse, lasciano che antiche incomprensioni ostacolino il rapporto con i genitori. Tom esprime brutalmente alla madre di non provare nulla per la sua sofferenza imminente, rivelando un’infelicità priva di desideri e una solitudine senza conforto.

Glasner ammette che l’opera contiene tratti autobiografici, descrivendo con sincerità la propria vicenda familiare. “Ho esplorato la mia famiglia attraverso sorrisi e lacrime senza inventare nulla”, dichiara il regista, trovando un modo per avvicinarsi ai propri affetti.

Il film ricorda “Amour” di Michael Haneke, ma Glasner si è sentito spinto a raccontare una storia diversa. La sua rappresentazione della morte dei genitori si allontana dall’immagine borghese e romantica proposta da Haneke, riflettendo un’esperienza più cruda e meno legata all’amore.

“Sterben” è anche il titolo di un brano che Tom, il protagonista, dirige alla Philharmonie di Berlino. Al suo fianco c’è Bernard, un compositore tormentato dal continuo senso di insoddisfazione. “La musica si avvicina molto al cinema, entrambi si muovono nel tempo e nello spazio”, afferma Glasner, rivelando il suo sogno giovanile di diventare direttore d’orchestra.

In un momento toccante del film, Bernard, deciso a porre fine alla sua vita, chiede che Tom gli stia accanto. Una riflessione sull’importanza del diritto di scegliere quando la vita non ha più valore. Citando Cioran, si accentua l’idea che la possibilità del suicidio possa persino essere una salvezza.

Un altro tema esplorato è la paternità. Tom sceglie di essere padre, ma non biologico, riflettendo il legame complesso con il suo stesso padre. Glasner ha vissuto una situazione simile e considera cruciali le differenze tra una famiglia dettata dalla biologica e una formata per scelta.

Girare un film è per Glasner come creare una “famiglia cinematografica”. I legami si dissolvono alla fine delle riprese, ma lasciano segni duraturi. C’è un valore speciale nel costruire e vivere questi legami temporanei, che offrono nuove prospettive e significati.

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