Il Golfo arabico-persico rappresenta un punto cruciale nella strategia geopolitica adottata da Trump, attuale presidente degli Stati Uniti. In questa regione, si confrontano diverse aspirazioni imperiali – quelle persiane, arabe e ottomane – oltre alla presenza storica delle religioni abramitiche, incluso l’ebraismo. Recentemente, Trump ha deciso di concentrarsi sull’Islam sunnita conservatore, contrariamente a otto anni fa quando il suo itinerario internazionale comprendeva anche Gerusalemme e il Vaticano.

Un dettaglio controverso di questa missione è stato il nuovo Air Force One, finanziato dal Qatar, che ha suscitato critiche di conflitto d’interessi negli Stati Uniti. Tuttavia, altri elementi significativi emergono dal viaggio, come l’evidente distanza nei rapporti con Benjamin Netanyahu e il solido legame con il principe saudita Mohammed bin Salman. Questo avviene in un contesto dove i Paesi del Golfo stanno interpretando un ruolo rilevante nel processo di modernizzazione e laicizzazione.

L’aspetto economico di queste relazioni è cruciale. Gli annunci di investimenti diretti negli Stati Uniti da parte dei Paesi del Golfo ammontano a centinaia di miliardi di dollari. Il Regno saudita, come notevole acquirente del debito pubblico americano e del settore delle armi, si sta anche orientando verso investimenti nell’intelligenza artificiale, mantenendosi in sintonia con le politiche economiche dell’amministrazione Trump.

Dal punto di vista energetico, l’Arabia Saudita, leader dell’OPEC, ha concesso a Trump un aumento della produzione petrolifera, determinante per influenzare i prezzi del mercato mondiale. Questo incremento, che non era stato accordato al predecessore Biden, ha contribuito a mettere in difficoltà economica la Russia e a combattere l’inflazione negli Stati Uniti, elemento decisivo per le prossime elezioni legislative.

La relazione con il Qatar è anch’essa sotto esame, dato il passato di critiche per presunti legami con l’Iran, i Fratelli Musulmani e Hamas. Questo Stato del Golfo, noto per la sua politica indipendente, è stato tuttavia un interlocutore per gli Stati Uniti e Israele nel facilitare il dialogo con Gaza.

In questo scenario in evoluzione, Trump risponde alle sollecitazioni di Mohammed bin Salman aprendo al dialogo con l’Iran sul nucleare, nonostante le critiche al precedente accordo negoziato da Obama. Tale orientamento preoccupa Netanyahu e potrebbe influenzare le future dinamiche sullo stato palestinese.

Infine, la politica estera di Trump sembra riflettere una maggiore presenza di alcuni ‘falchi’ tradizionali del suo partito, puntando su una politica realista e pragmatica. Trump, infatti, ha sempre sostenuto che l’America non debba esportare la democrazia o i diritti umani, un tema su cui esiste un consenso trasversale in politica interna, alla luce delle esperienze passate in Libia e in Iraq.

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