Secondo un’esclusiva del Washington Post, in seguito a una prima ondata di attacchi devastanti sui centri di comando di Teheran, il Mossad ha lanciato un’operazione che mira a destabilizzare la leadership iraniana. Questa manovra ha incluso una breve telefonata rivolta a circa venti generali iraniani, contenente minacce e inviti a fuggire per evitare di subire lo stesso destino di altri ufficiali, già colpiti dai raid israeliani.
I destinatari della chiamata, avvenuta poche ore dopo l’operazione denominata Rising Lion, avrebbero dovuto registrare un video in cui si dissociavano dal regime iraniano e inviarlo tramite Telegram. In cambio, sarebbe stata garantita la sicurezza loro e delle loro famiglie. La comunicazione avrebbe enfatizzato il messaggio con una frase chiave, menzionando alti comandanti come Bagheri e Salami, che sarebbero stati eliminati, mentre Shamkani sarebbe gravemente ferito ma ancora vivo, seppur dichiarando sfida.
Non è chiaro se i generali abbiano seguito le istruzioni e inviato la registrazione o se abbiano ignorato l’avvertimento, ma pare che almeno alcuni di loro siano ancora vivi. L’obiettivo di questo piano era seminare disordini tra le file delle gerarchie militari iraniane, creando diffidenza e paura tra coloro che avrebbero potuto sostituire gli ufficiali eliminati. Israele è riuscito a eliminare alcuni di questi potenziali “rimpiazzi” appena insediatisi.
Questa doppia mossa di guerra psicologica si articola in due fasi: l’azione stessa e la sua diffusione mediatica. Inoltre, il tutto rappresenta una dimostrazione della capacità delle intelligence israeliane di operare con una certa libertà nell’area. Da questa vicenda emergono interrogativi strategici e propagandistici, evidenziando la complessità e la pericolosità di un teatro di operazioni, dove Israele cerca di mantenere la propria supremazia.