Durante un’incursione notturna contro l’Iran, l’aviazione israeliana ha colpito non solo obiettivi nucleari, ma anche esponenti militari di alto rango e scienziati del settore, oltre a condurre operazioni di sabotaggio segrete su basi aeree. Tra i bersagli degli attacchi, come confermato dalle fonti iraniane, spiccano il comandante delle Guardie della Rivoluzione Islamica, generale Hossein Salami, il capo di stato maggiore generale Mohammad Bagheri e altri alti ufficiali, insieme a diversi scienziati.

Questa operazione di vasta portata e precisamente coordinata non trova precedenti recenti nel conflitto tra Israele e Iran, mettendo quest’ultimo in una posizione molto delicata. Ciò che cattura particolarmente l’attenzione è la pianificazione e la possibilità che questo attacco significativo, noto come operazione “Leone nascente”, possa generare. Si tratta di un tentativo di colpire durevolmente il regime degli ayatollah, con l’obiettivo di sostenere un conflitto prolungato. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato che Israele continuerà a colpire “finché sarà necessario”. La risposta dell’Iran, con Ali Khamenei che minaccia una “risposta severa”, non si è fatta attendere e consiste nel lancio di oltre 100 droni contro Israele, segno che la tensione nella regione potrebbe non diminuire presto.

Nel contesto attuale, la possibilità di una guerra totale nel Medio Oriente sembra più tangibile che mai. La tempistica di questa escalation, già auspicata da alcuni e temuta da altri, appare ormai inevitabile. È difficile immaginare che Israele abbia lanciato una tale offensiva senza almeno il consensuale assenso di Washington, che fornisce intelligence e copertura. Non è quindi sorprendente che Trump fosse già al corrente, attraverso comunicazioni precedenti, della data e ora degli attacchi.

Infatti, gli Stati Uniti avevano recentemente avvertito di attacchi “imminenti” nei confronti dell’Iran e avevano evacuato il personale non essenziale dalle basi in Iraq. Mentre il presidente americano ha confermato di essere stato informato in anticipo, ha sottolineato che gli USA non sono direttamente coinvolti, esprimendo speranza che l’Iran torni a negoziare.

Tuttavia, gli iraniani hanno già dichiarato di non voler inviare i propri rappresentanti ai colloqui bilaterali con Washington che erano previsti tramite la mediazione dell’Oman. Questo sviluppo causa una crescente preoccupazione non solo a Teheran, ma anche tra i paesi vicini, poiché l’attuale amministrazione americana appare incapace di controllare realmente Israele. Nonostante le aperture da parte dei paesi del Golfo, la presidenza Trump ha visto un’evoluzione del progetto di egemonia israeliana nella regione, che si è spostato da una stabilità basata su relazioni diplomatiche e commerciali, come gli accordi di Abramo, verso una dominanza fondata sulla forza militare.

In una regione già segnata da devastanti conflitti, l’operazione “Leone nascente” non fa che esasperare i rischi di un’ulteriore escalation, spingendo i paesi coinvolti, soprattutto Israele, verso una prospettiva di guerra infinita.

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