Nel cuore della notte, poco dopo le tre, le sirene suonano come una sveglia in tutta Israele. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale dopo il lancio di un massiccio attacco contro l’Iran. I cittadini sono stati esortati a rifugiarsi nei rifugi antiaerei, a restare vicini alle stanze blindate e ai garage pubblici protettivi. Si percepisce il silenzio surreale delle strade quasi vuote, rotto solo dai rombi dei jet di Tsahal che sorvolano per colpire i siti nucleari iraniani.

L’offensiva israeliana si concentra su Natanz, il fulcro del programma nucleare iraniano, e altre strutture chiave a Isfahan e altrove. Gli attacchi colpiscono anche caserme militari e figure di spicco come Mohammad Bagheri e Hossein Salami. I missili si abbattono sugli edifici governativi a Teheran. Il Mossad, nel frattempo, si occupa di operazioni segrete, tra cui il posizionamento di droni all’interno dell’Iran. Si registrano 78 morti complessivi, mentre droni iraniani vengono intercettati prima di raggiungere il suolo israeliano.

La situazione è esplosiva; la popolazione inizia a fare scorta di provviste, consapevole che l’operazione “Leone che sorge” segna l’inizio di un vero conflitto. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, definisce l’attacco una “dichiarazione di guerra”. In Israele, il primo ministro Benjamin Netanyahu avverte la nazione con altri messaggi, sottolineando che l’offensiva potrebbe durare tutto il tempo necessario.

I riservisti, mobilitati per azioni offensive e difensive, preparano il paese a due settimane di conflitto contro l’Iran, secondo fonti militari. Gli abitanti riempiono le dispense, pur sapendo che l’incertezza regna sovrana. Mentre gli israeliani si preparano a nuove eventuali minacce, gareggiando contro il tempo per raggiungere i rifugi, il comando militare ammette l’assenza di sicurezze assolute.

Le operazioni quotidiane si fermano. Il Pride organizzato dalla comunità Lgbtq+ è cancellato, l’aeroporto Ben Gurion chiuso, e gli aerei delle compagnie nazionali sono stati trasferiti all’estero per evitare distruzioni.

Con l’arrivo dell’oscurità, un nuovo allarme compare sui telefonini: i cittadini sono invitati a non muoversi e a restare vicini ai rifugi. Si teme il lancio di missili balistici da parte delle forze iraniane. Nel frattempo, la televisione del regime trasmette il discorso di Ali Khamenei, la Guida Suprema, che promette ritorsioni severe senza mezze misure.

Gli ospedali in Israele si attrezzano per l’emergenza, trasferendo i pazienti più gravi sottoterra per proteggerli da eventuali attacchi. Nel contempo, emergono minacce contro i pasdaran iraniani: eventuali attacchi contro i civili israeliani potrebbe spingere Israele a mirare i leader politici iraniani.

Nel Paese, le sirene continuano a suonare mentre missili cadono su Tel Aviv, procurando almeno 40 feriti nella prima ondata di attacchi. La notte è illuminata da esplosioni che gettano il paese in una devastante schermaglia.

Fino a giovedì, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva dichiarato di non considerare l’attacco israeliano imminente, affermando che avrebbe evitato il conflitto fino a quando un accordo con l’Iran fosse stato ancora possibile. Tuttavia, le sue parole potrebbero aver servito a sviare i sospetti degli iraniani. Washington precisa subito che gli Stati Uniti non sono coinvolti, ma il Pentagono sta comunque muovendo navi da guerra per proteggere basi e ambasciate nella regione.

Trump non vuole passare come un leader ignaro degli eventi e si assicura che l’opinione pubblica sappia che era ben consapevole della situazione. Lancia un monito all’Iran: accettare un accordo nucleare o affrontare ritorsioni ancora più gravi.

13 giugno 2025

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *