Recentemente, gli eventi in Iran hanno riportato alla mente spettri che sembravano relegati ai ricordi della Guerra Fredda. Situazioni simili si sono verificate anche in passato, come l’attacco russo in Ucraina che ha coinvolto impianti nucleari civili a Zaporizhzhia e il noto sito di Chernobyl. L’attualità pone un interrogativo rilevante: un attacco militare ai depositi iraniani di uranio arricchito potrebbe dar vita a possibili nubi nucleari?

Il contesto diventa più complesso quando si considera l’uso della GBU-57, un’arma anti-bunker potenzialmente impiegabile dagli Stati Uniti, che richiederebbe tuttavia l’autorizzazione presidenziale di Donald Trump per un coinvolgimento, almeno indiretto, americano. Non abbiamo precedenti su cui basare le nostre considerazioni, quindi è necessario formulare ipotesi.

Il sito di Natanz, situato a circa 220 chilometri a sud-est di Teheran, è protetto da una batteria anti-aerea e ospita la maggior parte delle centrifughe iraniane, utilizzate per arricchire l’uranio fino a un livello del 5% idoneo per scopi energetici civili. Recenti attacchi israeliani hanno danneggiato probabilmente le centrifughe, note per la loro vulnerabilità alle vibrazioni e agli sbalzi energetici.

Decisivo è comprendere se esiste un rischio di reazione nucleare se fossero colpite quantità di uranio. Lo scenario di Chernobyl del 1986 è presente nei ricordi di molti, ma tecnicamente una bomba atomica non si attiva semplicemente con questi attacchi. Serve un detonatore, missili e altre componenti, assenti nei siti iraniani.

Le preoccupazioni maggiori riguardano eventuali reazioni chimiche, in particolare quelle che potrebbero coinvolgere il fluoro utilizzato nel processo di arricchimento dell’uranio, il quale potrebbe rilasciare gas pericolosi per la salute. Il sito di Fordow, a 100 chilometri a sud-ovest di Teheran, arricchisce uranio fino al 60%, più vicino alla capacità per uso militare rispetto a Natanz, generando ulteriore preoccupazione per le potenziali ambizioni dell’Iran di sviluppare armi nucleari.

In passato, incidenti nucleari hanno sollevato allarmi simili: nel 2023, l’attacco russo a un deposito di uranio impoverito in Ucraina suscitò timori per una nube tossica, che non ebbe però riscontri dalle centraline di monitoraggio italiano.

Non esistono certezze su cosa accadrebbe se le GBU-57 colpissero pesantemente il sito di Fordow. Senza precedenti, rimaniamo nelle mani dell’intelligence israeliana e statunitense riguardo alla consistenza dello stoccaggio di uranio in Iran. L’analisi continua a dipendere dagli sviluppi sul campo e dalle ipotesi formulate dagli esperti internazionali.

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