Erano affiliati all’organizzazione dei Mojahedin del Popolo i due uomini giustiziati all’alba nella prigione di Ghezelhesar, a Karaj, città situata a nord di Teheran. Si chiamavano Mehdi Hassani, 48 anni, e Behrouz Ehsani, 69 anni. Né i video angoscianti dei loro figli, né le appelli lanciati dai Premi Nobel e dagli intellettuali alla comunità internazionale sono bastati a evitare l’esecuzione. L’agenzia di stampa Mizan, legata alla magistratura, ha annunciato la notizia, elencando le accuse: inimicizia contro Dio, ribellione armata e appartenenza al gruppo terroristico Mek con l’obiettivo di minare la sicurezza nazionale.

Hassani ed Ehsani sono stati condannati da una sentenza della Sezione 26 della Corte rivoluzionaria di Teheran, con un processo durato appena cinque minuti e senza difesa legale. Detenuti per tre anni, hanno subito minacce, torture e lunghi periodi in isolamento fino al trasferimento nella prigione di Ghezelhesar il 26 gennaio, segnale di un’esecuzione imminente. Le accuse comprendono anche la fabbricazione di armi e il coinvolgimento in atti di violenza contro cittadini, edifici e strutture statali.

Dopo la conclusione della «Guerra dei 12 giorni» con Israele, il regime ha intensificato la repressione nei confronti di attivisti e prigionieri politici, spesso accusati di collaborare col nemico. Di recente, all’inizio di luglio, l’agenzia Fars affiliata alle Guardie Rivoluzionarie Iraniane ha definito le esecuzioni di massa del 1988 un «successo» e proposto di replicarle per «impartire una lezione» agli attuali dissidenti. Al momento, almeno 54 prigionieri politici, tra i quali Pakhshan Azizi, Abbas Daris e Ahmedreza Jalali, sono condannati a morte.

Durante il mese scorso, le esecuzioni hanno raggiunto quota 1459 durante la presidenza del “riformista” Masoud Pezeshkian, con un aumento del 170% rispetto allo stesso periodo del precedente anno. Tra il 20 e il 23 luglio, 21 persone sono state giustiziate dalla Repubblica Islamica, tra cui sei appartenenti alla minoranza baluci.

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