Nell’anniversario della controversa visita di Ariel Sharon alla Spianata delle Moschee, nuovi eventi agitano la scena politica in Medio Oriente. Ariel Sharon, noto generale israeliano, fece discutere 25 anni fa per una passeggiata simbolica su un territorio altamente conteso che infiammò le tensioni con i palestinesi e portò alla seconda Intifada. Quella visita provocò un intensificarsi del conflitto, dando origine a gruppi come Hamas.

Recentemente, il ministro ultranazionalista israeliano Itamar Ben-Gvir ha compiuto una mossa simile, visitando lo stesso sito, ora con intenti religiosi evidenti, sfidando ulteriormente le sensibilità locali. Mentre il premier Benjamin Netanyahu ha dichiarato che lo status quo deve essere mantenuto, dichiarazioni di altri membri del governo sottolineano l’intenzione di rafforzare la presenza israeliana su Gerusalemme.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Sebbene i palestinesi e i paesi arabi adiacenti come la Giordania abbiano pubblicamente condannato l’atto, riconoscono l’attuale superiorità strategica di Israele. Intanto, cresce l’angoscia per le condizioni umanitarie nella Striscia di Gaza. L’ONU ha lanciato l’allarme: molte donne e ragazze rischiano la fame in un territorio dove gli aiuti arrivano col contagocce.

In un contesto di accuse reciproche, Netanyahu ha respinto le critiche sulla presunta crisi alimentare a Gaza come propaganda di Hamas, accusando il gruppo di utilizzare i prigionieri per scopi propagandistici analoghi a metodi nazisti. Hamas ha risposto garantendo il trattamento dei prigionieri e dichiarando disponibilità alla cooperazione con la Croce Rossa, condizionando però tale impegno all’apertura di corridoi umanitari.

Nel frattempo, video inquietanti mostrano prigionieri israeliani in condizioni deboli, alimentando l’emozione internazionale. Il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Friedrich Merz hanno espresso sdegno per la situazione umanitaria, sollecitando Israele a garantire gli aiuti.

Con le tensioni ai massimi livelli, il dialogo sulla gestione delle crisi umanitarie e sulla sovranità territoriale rimane fondamentale, mentre l’equilibrio geopolitico della regione continua a essere delicato.

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