Era improbabile scorgere un colpo di vita tra i numerosi corpi ammassati sul gommone, eppure, nella parte posteriore, una figura solitaria stringeva al petto un bambino senza vita. La sua pelle era bruciata e le parole non uscivano. Le braccia racchiudevano quel piccolo corpo inerte da ore. Esther, un nome di fantasia, temeva di dover abbandonare il suo bambino al mare. Questo è quanto riportato da Repubblica, dopo che finalmente, soccorsa, ha potuto rivelare la sua storia.
Lei e il marito, insieme a un’altra coppia di origine ghanese, sono sopravvissuti a un’atroce odissea che spesso si verifica lontano dai radar internazionali: i loro piccoli, di appena 3 e 4 anni, sono deceduti per disidratazione durante il pericoloso viaggio dalla Libia verso l’Europa. La partenza dal porto di Zawia è avvenuta sotto le stelle, ma il viaggio si è fermato in un punto sperduto del Mediterraneo.
Un padre, il cui figlio non c’è più, raconta che avevano promesso loro che la traversata sarebbe durata un giorno e mezzo. Tuttavia, dopo 24 ore, un guasto al motore li ha lasciati alla deriva. Tentavano di proteggere il loro figlio dal sole cocente, mentre l’acqua diminuiva sempre più. Quel poco che era rimasto, lo destinavano con parsimonia al piccolo, che piangeva e poi, all’improvviso, non emetteva più suoni.
Nel triste pomeriggio del venerdì, il primo bambino ha mostrato solo silenzio, seguito dall’altro poco dopo. Anche se le madri non si conoscevano, hanno unito le loro voci in grida disperate, supplicando i presenti per un sorso d’acqua. I corpicini dei bambini sono rimasti avvolti dalle braccia delle madri per un interminabile giorno, paura di gesti simili ad altri naufragi, in cui i bambini deceduti venivano offerti al mare. Decisiva è stata l’arrivo della nave Nadir, dell’organizzazione tedesca Resqship, che ha recuperato per primi i piccoli corpi.
I volontari, giunti al salvataggio, si sono trovati innanzi a una scena sconvolgente e mai vista prima. “Molti migranti erano in stato di semincoscienza”, raccontano i membri della Nadir. Tra loro, un giovane di poco più di vent’anni, è spirato tra le braccia del comandante. “Non abbiamo potuto nulla per salvarlo. I bambini che muoiono di sete rappresentano un fallimento politico intollerabile”.
Giunta a Lampedusa a bordo di una motovedetta della Guardia Costiera, Esther era sola. Mentre il marito e gli altri sopravvissuti attendevano ancora a bordo, lei restava in silenzio, lo sguardo assente. Solamente il giorno successivo ha potuto riabbracciare il coniuge presso il centro di accoglienza, affiancati da psicologi della Croce Rossa.
Per i sopravvissuti, il viaggio è costato ben 1500 dollari a testa. Un gommone sovraccarico, sessanta persone stipate senza alcuna protezione dal sole. Solo alcune bottiglie d’acqua erano disponibili; niente cibo. Dopo il guasto, la deriva e la sete hanno preso il sopravvento. Alcuni migranti hanno avuto allucinazioni, uno si è gettato in mare in cerca di sollievo dal caldo torrido, mentre altri cadevano svenuti per il calore e lo sfinimento. I bambini, le creature più vulnerabili, non hanno avuto speranza.