Dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel novembre scorso, si è osservato un picco d’interesse su Google nei confronti di alcuni quesiti cruciali riguardanti l’economia: cosa sono i dazi, qual è il loro scopo e chi ne sopporterà i costi. Oggi, a distanza di alcuni mesi, queste domande sono diventate di interesse globale, soprattutto dopo l’annuncio del 2 aprile ribattezzato “Liberation Day”.
La strategia dell’amministrazione Trump di innalzare le barriere tariffarie mira a bilanciare il commercio estero americano, che nel 2024 ha visto gli Stati Uniti importare beni per un valore complessivo di 3.296 miliardi di dollari, mentre le esportazioni si sono fermate a 2.084 miliardi, determinando un disavanzo di 1.212 miliardi. Incrementare il costo delle merci straniere attraverso i dazi doganali ha l’obiettivo di stimolare la produzione nazionale, nella speranza di aumentare l’occupazione nel settore manifatturiero, che ha subito una drastica riduzione nel corso degli ultimi 50 anni.
La definizione delle nuove tariffe è complessa e soggetta a continui cambiamenti, dato che la Casa Bianca adatta le aliquote in base agli accordi presi con i diversi partner commerciali. L’accordo recentemente raggiunto con l’Unione Europea, secondo le stime di Ubs, ha comportato un incremento significativo del dazio medio sulle importazioni europee, passando dall’1,5% al 15,2%.
Ma chi si farà carico del costo delle tariffe? Il meccanismo dei dazi prevede che questi siano applicati quando le merci giungono negli Stati Uniti. Le aziende possono scegliere di assorbire questi costi, riducendo i propri margini di profitto, per restare competitive rispetto ai rivali locali o internazionali. Tuttavia, alcune imprese potrebbero trasferire i costi aggiuntivi sugli importatori e, infine, sui consumatori.
La storia recente ci offre alcuni esempi sugli effetti di tali politiche. Nel 2018, un dazio significativo sulle lavatrici ha condotto a un aumento del 34% dei prezzi di questi elettrodomestici, ben al di sopra del livello dell’inflazione generale, gravando sui consumatori americani per circa 1,5 miliardi di dollari. Nonostante l’aumento dei prezzi, la produzione interna di lavatrici ha visto la creazione di 1.800 nuovi posti di lavoro.
Mentre alcuni effetti dei dazi sono già visibili, il loro impatto completo si manifesterà soprattutto nella seconda metà dell’anno, quando verranno esaurite le scorte create precedentemente al “Liberation Day”. Nel frattempo, i valori doganali hanno portato a un raddoppio delle entrate federali nel primo semestre del 2025, con previsioni che indicano un possibile raggiungimento di 300 miliardi di dollari entro la fine dell’anno.
Nel contesto degli accordi tra Stati Uniti e Unione Europea, si è stabilito un dazio generalizzato del 15% sulle importazioni europee, e l’impegno da parte dell’Unione a investire nel petrolio, nel gas e negli armamenti statunitensi. Tuttavia, si tratta di impegni che coinvolgono principalmente il settore privato, con limitate ricadute sui governi nazionali europei.
Nel frattempo, il FMI ha leggermente rivisto al rialzo le previsioni di crescita globale, auspicando che l’impatto delle tariffe sull’economia mondiale sia più contenuto rispetto a quanto temuto inizialmente. Molti paesi europei, tra cui l’Italia, potrebbero risentire dell’incertezza legata ai nuovi dazi, soprattutto nei settori farmaceutico, automobilistico e agroalimentare.
Per affrontare la situazione e mitigare gli effetti negativi, si discute l’ipotesi di un supporto coordinato a livello europeo per sostenere le imprese più colpite, un tema cruciale dato che alcuni Stati membri, vincolati dal Patto di Stabilità, non dispongono delle risorse per far fronte autonomamente alla situazione.