Nel secondo giorno del conflitto tra Israele e la Repubblica islamica, il regime iraniano si trova in una condizione critica. I raid israeliani hanno causato la morte di una ventina di figure chiave nei settori strategici del Paese, tra cui comandanti delle Guardie della Rivoluzione (IRCG) e il capo dello Stato maggiore delle forze armate. Dal suo terrazzo, Ghael osserva la residenza dell’ayatollah Ali Khamenei nel centro di Teheran, nota come Beit-e Rahbari, dotata di un avanzato bunker antinucleare. “Hanno cercato più volte di colpirla”, scrive la giovane in un messaggio, al quale allega un’emoticon. Non si ritiene che la Guida suprema si trovi lì, ma piuttosto nascosta a Mashhad, sua città natale. Tuttavia, mancano conferme sicure.
Benjamin Netanyahu ha lanciato un avvertimento: se l’Iran dovesse colpire civili, Israele risponderà prendendo di mira figure politiche di alto profilo. “Molti di loro sono già stati eliminati”, afferma l’esperto iraniano Beni Sabti dell’Inss di Tel Aviv. “Nessuno dei pasdaran è al sicuro, nemmeno i nuovi nominati da Khamenei”, aggiunge. Netanyahu invia un messaggio chiaro agli ayatollah: “Attenti, potreste essere i prossimi”.
Questo avvertimento alimenta la convinzione che l’obiettivo di Israele non sia solo distruggere il programma nucleare e missilistico di Teheran, ma anche destabilizzare il regime, se non addirittura rovesciarlo. Tuttavia, non si tratta di una missione semplice e non offre garanzie per la liberazione del popolo iraniano. Nella “lista di Netanyahu” potrebbe esserci anche Mojtaba, il secondogenito e probabile erede di Khamenei, insieme ad altre figure influenti come Mohammad Bagher Ghalibaf e Ali Larijani.
Lo scenario che si prospetta, nel caso estremo di una mossa contro la stessa Guida suprema, avrebbe ripercussioni critiche ben oltre il campo di battaglia. Secondo Arash Azizi, esperto in materia, l’uccisione di Khamenei potrebbe aprire un processo per la sua successione tramite l’Assemblea degli Esperti, con Mojtaba tra i candidati. Tuttavia, una tale eventualità potrebbe destabilizzare ulteriormente il Paese, causando lotte interne e ampliando il caos nella regione, dato che l’Iran sostiene gruppi armati in Iraq, Libano, Siria e Yemen.
L’ipotesi di un colpo di stato militare o di una guerra civile non è trascurabile. I riformisti potrebbero cercare di conquistare il potere con l’aiuto dell’Occidente, o potrebbe emergere un leader della diaspora iraniana, come Reza Pahlavi. Esiste anche la speranza che si verifichino nuove proteste di massa, simili a quelle del biennio 2022-2023, anche se in Iran non esiste un’opposizione ben organizzata. Chi ha tentato di opporsi al regime, infatti, è stato eliminato o imprigionato.
Rimanendo incerti e sorpresi, i leader della Repubblica Islamica sono in difficoltà, ma non possono permettersi di mostrarsi deboli. Stavano elaborando una risposta a un eventuale attacco israeliano, credendo di avere più tempo in vista dei colloqui con gli Stati Uniti. Tuttavia, le loro prossime mosse restano incerte e sono sempre più preoccupati per la loro sopravvivenza. Come fa notare Sabti, “I regimi possono cadere senza avviso, come avvenuto in Siria”.