La corsa per la salvaguardia degli oceani globali ha preso il via. La recente Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani, tenutasi a Nizza, in Francia, si è conclusa con l’intesa da parte dei leader internazionali di sottoscrivere un accordo vincolante prima di settembre per proteggere meglio gli oceani, preparando il terreno per la prima Conferenza delle Parti per un Trattato dell’Alto Mare nel 2024. Olivier Poivre d’Arvor, ambasciatore francese per gli Oceani, ha definito questo impegno “una notevole vittoria” in una conferenza stampa. Ha sottolineato le difficoltà di avanzare sulla questione, specialmente con gli Stati Uniti distanti da molte agende internazionali, ma ha riconosciuto il supporto chiave ricevuto dall’Argentina e la Cina, oltre alla recente adesione dell’Indonesia.

Il cammino verso questo accordo non è stato né semplice né veloce. I negoziati sono iniziati due decenni fa, con l’adozione del trattato avvenuta nel 2023. Tuttavia, il processo di ratifica procede lentamente: per renderlo operativo, almeno 60 nazioni devono completare l’iter, ma attualmente molte si mostrano titubanti. Gli ecosistemi marini e costieri sono sempre più minacciati da fattori legati ai cambiamenti climatici, alla pesca industriale e all’inquinamento, e l’obiettivo principale del trattato è quello di estendere aree marine protette alle acque internazionali che costituiscono circa due terzi dell’oceano globale. Una delle difficoltà principali risiede nel mettere d’accordo i paesi su quali zone delle acque internazionali debbano essere protette e come.

Durante le discussioni, si è percepito che il peso della responsabilità nella salvaguardia degli oceani grava ancora in gran parte sui paesi meno sviluppati e sui gruppi ambientalisti, nonostante gli ambiziosi discorsi dei leader europei. Juan Carlos Monterrey Gómez, rappresentante climatico di Panama, ha dichiarato che mentre si punta a proteggere il 30% degli oceani entro il 2030, sono soprattutto i paesi in via di sviluppo a dover farsi carico delle iniziative attuali. D’altro canto, la Francia ha accolto con favore la creazione della più vasta Area Marina Protetta al mondo, annunciata dalla Polinesia Francese, che copre circa 1,1 milioni di chilometri quadrati delle loro acque.

Altri stati, come Colombia, Samoa, Tanzania e São Tomé e Príncipe, hanno proposto nuove riserve marine. Tuttavia, per molte ONG l’impegno mostrato dai paesi occidentali appare modesto se paragonato alle dichiarazioni espressive fatte durante i saluti inaugurali. Tatiana Nuño di Seas at Risk ha criticato la partecipazione dell’Unione Europea, evidenziando il divario tra le parole e le azioni effettive. Anche se alcune Aree Marine Protette nell’UE coprono un considerevole 12% delle acque, ben meno dell’1% è rigorosamente tutelato, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente.

La ministra dell’ambiente portoghese, Maria da Graça Carvalho, ha promesso una nuova zona protetta nell’Oceano Atlantico, mentre la Grecia ha iniziato a istituire i suoi primi parchi marini. La Francia ha imposto ulteriori restrizioni al dragaggio nelle sue riserve marine, ma le ONG chiedono misure più ambiziose. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno deciso di non partecipare all’evento, con un portavoce che ha sottolineato la discrepanza tra la conferenza e l’attuale politica dell’amministrazione statunitense.

Peter Thomson, inviato speciale per l’Oceano del Segretario Generale dell’ONU, ha esortato i paesi più sviluppati a tradurre in realtà gli obiettivi del 30% di protezione entro il 2030, elogiando i progressi dei paesi più piccoli. È stato sottolineato che l’Unione Europea potrebbe fare maggiori sforzi; la Giamaica, ad esempio, ha già protetto il 15% delle sue acque con piani di gestione efficaci per ogni area protetta. Il Portogallo spera che la sua iniziativa ispiri altri membri dell’UE a concretizzare i propri impegni.

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